sabato 12 novembre 2011

La via meridiana che dissolverebbe la Lega Nord

Di Nicola Salerno

Penso che ogni paese sviluppato anelerebbe ad avere sovranità sul meridione d’Italia. Se non altro per la sua imparagonabile posizione geografica, di ponte tra i paesi del mediterraneo in via di democratizzazione e di sviluppo e il mondo occidentale.
Fa eccezione solo La Lega Nord che ha fatto dell’anti-meridionalismo la sua stessa ragione di esistere. E così, facendo del pregiudizio e dei discutibili stereotipi anti-meridionali la sua stessa linfa, è costretta a non riconoscere nello sviluppo del Sud le grandi opportunità economiche che si aprirebbero anche per la cosiddetta Padania grazie al rapporto privilegiato che le industrie del nord avrebbero rispetto alla concorrenza internazionale.
Sta qui a mio modesto avviso l’empasse politico che negli ultimi venti anni ha precluso ogni possibilità di sviluppo delle regioni meridionali. Per carità niente di nuovo. Solo il ripetersi della solita litania: il sud Borbone, il sud brigante, il sud malavitoso, il sud parassita, etc.. Insomma la moderna via leghista con la quale si perpetua lo status di colonia al quale è stato relegato il Sud dall’ unità ad oggi.
Per la lega lo sviluppo del Sud significherebbe l’estinzione, l’eutanasia politica? E infatti basta il solo anelito di una politica nuova (e si spera efficace) per Napoli ad intensificare i continui, ingiustificati e rozzi attacchi di Tele/Radio Padania al neo sindaco della città partenopea. Invettive spesso prive di ogni fondamento e che sono solo il tentativo squallido di procacciarsi ossigeno che a quanto pare, stando ai sondaggi più recenti, sembra iniziare a scarseggiare. Insomma se Napoli (e in generale il Sud) sale, la Lega si dissolve.
Permettetemi una breve digressione. In tutta onestà, da meridionale, mi chiedo, dopo aver appoggiato per anni un governo appeso al chiodo (anti meridionale) leghista, con i risultati fallimentari per il Sud che sono sotto gli occhi di tutti, come si possa nutrire speranza da certi esponenti politici. Come è vero che l’abito non fa il monaco, è assai improbabile che il solo indossare la veste (pseudo) meridionalista possa fornire a "Grande Sud" quello slancio e quelle capacità che per lustri non si sono palesate. E il dubbio che gli interessi non siano proprio quelli dei meridionali sembra essere legittimo considerando che mantengono, anzi mantenevano in vita un governo asfittico a trazione leghista.
Meraviglia poi come gli imprenditori del nord (non la finanza che ha ben altre mire) non si rendano conto di come lo spirito di autoconservazione della Lega Nord e purtroppo la diffusione del leghismo in genere (PD e PDL non ne sono immuni) sia, non la sola ovviamente, ma una delle principali cause interne della recessione verso la quale si stanno avviando.
Ed è veramente strano che non si rendano conto del fatto che gli stanziamenti a sostegno delle politiche di sviluppo per il Sud, se attuate con rettitudine (e qui sarebbe chiamata in causa anche una nuova e rinnovata classe dirigente meridionale), potrebbero essere, non delle mere spese e/o costi morti, ma al contrario buoni investimenti anche per il loro apparato industriale. Se lo facessero ne conseguirebbe un quadro politico completamente diverso. Si avrebbe una convergenza di obiettivi vincente da contrapporre alla municipalistica e perdente dualità (nord-sud) di interessi attualmente imposta dalla Lega di Bossi. Basterebbe guardare a quello che sono riusciti a fare i tedeschi dopo la caduta del muro.
Ma una tale visione richiederebbe, patriottismo a parte, un atteggiamento di apertura, coraggio e intraprendenza che sembra proprio non albergare dalle parti della cosiddetta Padania. Dove invece sembra prevalere l’opposto: chiusura, remissione, municipalismo endemico. In una sola parola, paura.
I Borbone, già nel 1817, avevano concepito una legge sull’immigrazione volta a favorire le eccellenze anche non indigene: chi poteva dimostrare di possedere risorse e/o buone idee volte al miglioramento della qualità della vita del Regno, poteva richiederne la cittadinanza. Con più di due secoli di anticipo, un po’ come è avvenuto e continua ad avvenire negli USA (e in generale in tutto il mondo) dove le università e i centri di ricerca sono sempre alla caccia delle menti migliori, indipendentemente dalla nazionalità. Anche questo atteggiamento di apertura è stato alla base dei primati raggiunti dal Regno delle Due Sicilie e per venire ai tempi nostri, alla base della supremazia tecnologica raggiunta dagli Stati Uniti, almeno fino ad oggi. Vi risulta che gli americani (nel bene e nel male) per questo si siano allontanati dalla loro propria autodeterminazione?
Esattamente all’opposto del federalismo folcloristico di Calderoli (l’ennesima porcata anti-meridionale) che sostiene che bisogna privilegiare nelle graduatorie i residenti magari anche a prescindere dal merito. A sostegno di tale discutibile posizione pone anche un assai dubbio interesse municipale affermando che le risorse prodotte dal territorio devono essere riservate in primis ai residenti di quel territorio. Costituzione italiana a parte, viene da chiedersi: ma destinare le risorse al merito non onorerebbe di più il lavoro di chi ha prodotto quelle risorse? In altri termini. se l’insegnante (indipendentemente dalla provenienza) è obiettivamente più bravo del collega residente, si fa un favore o un torto al futuro dei figli (anche) padani? E in ogni caso, il problema di trovare meccanismi selettivi che diano maggior peso al merito vi sembra si possa risolvere innalzando medievali muraglie padane?
E noi meridionali, cosa possiamo (ancora) offrire al nostro presente e al futuro dei nostri figli? Come fare tesoro del nostro straordinario recente passato, delle nostre illuminate tradizioni e dei nostri costumi? Non rincorrendo nostalgiche e velleitarie ri-proposizioni di un mondo che fu. Ma nel senso di raccogliere la sfida dell’attualizzazionedello spirito, del metodo, dell’apertura (senza sottomissione) verso il mondo, e in genere della concezione della vita che ha portato i nostri avi, in poco più di un secolo prima del 1860, a brillare tra le civiltà più avanzate della terra.
Mi viene in mente il motto vichiano, verum ipsum factum. Ovvero, come sosteneva Vico alla fine del ‘700, si può veramente conoscere solo ciò di cui si è facitori. E noi meridionali abbiamo smarrito la nostra via perché non conosciamo la nostra storia. E non la conosciamo perché i facitori di quella storia non siamo stati noi e tutt’ora non lo siamo. Da 150 anni ci fanno danzare una danza che non è la nostra danza con una musica che non è la nostra musica. E così ci hanno reso goffi, sgraziati e privi di orgoglio.
Ecco allora l’urgenza di ri-fare nostro il motto vichiano e ri-cominciare a danzare la nostra danza al ritmo della nostra vera musica. Perché solo così (forse) riusciremo a contrapporre una più coraggiosa e aperta via meridiana alla vile, municipale e fallimentare via leghista…


domenica 6 novembre 2011

Se mi fai il patrigno non posso rispettarti

Di Lino Patruno

Poi dice che uno vuole sempre stare a difendere il Sud, mentre l’Italia affonda. Ma per esempio, questa storia dei dipendenti pubblici meridionali che, per non fare affondare l’Italia, dovrebbero guadagnare meno di quelli del Nord perché lì la vita costa di più.Gabbie salariali, rieccole. Strano, perché si riteneva che uno stesso stipendio compensasse la stessa quantità di lavoro a Bari come a Milano. Una legge di civiltà. E che non è compito dello Stato andare a vedere se a Bari si possa comprare un chilo di pane e a Milano 750 grammi. E se uno non è consumatore nel senso che vive d’aria o qualcuno lo sfama, quindi destina ciò che prende al risparmio, deve essere lo Stato a spiare in casa sua e decidere per lui?

Lasciamo stare i criteri per stabilire il costo della vita: magari a Bari si beve acqua di rubinetto, a Milano bevono minerale e dicono che l’acqua costa di più a Milano. E se il barese ha famiglia numerosa, e il milanese è solo, chi deve guadagnare di più? E se il barese ha un figlio che non lavora, mentre il figlio del collega di Milano lavora ed è autonomo, chi deve guadagnare di più? E se il barese per fare una Tac deve andare dal privato perché per quella pubblica servono sei mesi, mentre il collega di Milano paga solo il ticket perché tutto funziona, chi deve guadagnare di più? E il bus? E gli asili? Più che il costo della vita, bisognerebbe conteggiare il costo dell’esistenza.

Tutto questo senza dire che il collega di Milano, se il lavoro pubblico non gli conviene, può trovarne un altro con molta minore difficoltà (a parte il fatto che nessuno l’ha obbligato a fare lo statale). Anche per questo ci sono più dipendenti pubblici al Sud che al Nord: perché il lavoro pubblico è un ammortizzatore sociale rispetto a condizioni che non consentono di creare agevolmente altro lavoro. Bisognerebbe dirlo a tutti i leghisti alla Salvini che fanno i guappi in tv pontificando sempre sul Sud, parassiti qua parassiti là.

E poi. Il collega di Milano vive in una città (e in una zona del Paese) in cui la maggiore ricchezza del Comune gli consente addirittura di avere servizi pubblici migliori pagando meno tasse. E mentre si propone di far guadagnare a lui più del barese, Tremonti taglia invece fondi al Comune di Bari nello stesso modo in cui li taglia a Milano. Tagli lineari, uguali per tutti. Senza tener conto che già il Comune di Bari è meno ricco di uno del Nord perché, essendo meno ricchi i cittadini, ricava meno dalle tasse. E che proprio questo Comune avrebbe bisogno di maggiori fondi per far funzionare bus e asili come a Milano. Come dire: tra stipendi e fondi ai Comuni, figli e figliastri sempre a danno di chi?

Altrettanto scontato che nessun politico difenda il Sud, quasi se ne vergognano. Come nessuno difende il Sud dal taglio dei treni. Ora via due dalla linea adriatica, quando proprio il Sud ne avrebbe più bisogno essendo peggio collegato dagli aerei che nel bilancio di un meridionale pesano più che in quello di un settentrionale. Ma dicono che sono rami secchi, come viene considerato un po’ tutto il Sud. Innescando il meccanismo automatico non dello sviluppo ma del sottosviluppo. Non si mettono i treni perché non ci sarebbe traffico. Ma se non ci sono i treni non può esserci traffico. Come l’uovo e la gallina. Ignorando che c’è un diritto costituzionale ad avere allo stesso modo i treni prima di stabilire che non servono. E perché l’alta velocità c’è solo al Nord? Forse che il Sud gode ad andare più lento?

Ovvio che al Sud nessuno investa, deve essere uno che vuol farsi del male. Nessuno verrebbe a investire dove uno stesso meridionale vuole scappare. Ma ora l’autocritica meridionale dovrebbe farsi più sofisticata. Essendo sempre più i censori i quali sollecitano il Sud a cercare in se stesso il suo sviluppo più che attenderlo sempre da fuori. Insomma il divario sarebbe più sociale che economico. Il Sud dovrebbe avere più capacità di cooperazione che individualismo, più responsabilità e meno disprezzo per la legalità, più cura per i beni pubblici che per i propri interessi. Dovrebbe avere un senso della comunità che fa osservare le regole nell’interesse di tutti. Civismo.

Ma un meridionale, che è civilissimo al Nord, lo è meno al Sud. Dove butta la carta per terra e passa col rosso in spregio allo Stato che non dimostra di aver cura di lui. Uno rispetta le regole dello Stato se lo Stato gli dà rispetto non facendolo vivere in condizioni economiche indegne. Uno rispetta le regole dello Stato (e in fondo le sue) se lo Stato non gli toglie i treni, se gli dà le strade, se non affama il suo Comune, se combatte efficacemente la criminalità. Il meridionale è un buon figlio se lo Stato non gli fa il patrigno.

Ecco tornare al solito interrogativo sul Sud: è nato prima l’uovo o la gallina?

Fonte: La Gazzetta del Mezzogiorno del 4 novembre 2011

Le regioni del nord regine dell'export europeo ma è il sud Italia a crescere più velocemente


Uno studio di Intesa Sanpaolo e di Smr-Studi e ricerche meridionali sfata alcuni luoghi comuni sulla scarsa proiezione internazionale delle aree meridionali del paese. Sicilia, Lazio e Campania, negli ultimi cinque anni, sono quelle che hanno guadagnato più posizioni

 

MILANO - La si potrebbe intendere come la rivincita economica delle regioni del centro-sud su quelle del "ricco" settentrione. Non ancora dal punto di vista dei numeri: in termini assoluti sono ancora dalla parte delle imprese del nord. Stiamo invece parlando di dinamismo e di tendenza alla crescita in campo internazionale: a sorpresa, si scopre che sono le regioni del dell'Italia centrale e meridionale quelle che - negli ultimi cinque anni - hanno mostrato un maggiore vivacità. Mentre le regioni settentrionali, pur rimanendo ai vertici delle posizioni in campo europeo, sono rimaste statische sulle loro posizioni.

E' uno degli spunti più interessanti del documento frutto del lavoro congiunto dell'ufficio studi di Intesa Sanpaolo e da Srm -Studi e ricerche per il mezzogiorno che ha come tema "L'apertura internazionale delle regioni italiane". In cui si trova conferma della vocazione delle regioni del nord all'ettività di esportazione. Nella classifica delle aree dell'Europa occidentale per la propensione all'expor, le regioni settentrionali rimangono ai vertici: se primi sono i tedeschi del Baden-Wuttemberg, subito dopo viene il Friuli-Venezia Giulia. E se al terzo posto troviamo la Baviera, subito dopo abbiamo Emilia-Romagna, Veneto e Lombardia.

Ancora meglio se consideriamo la classifica per la presenza sui nuovi mercati sul totale delle esportazioni. In questo caso, in testa c'è il Friuli, che si lascia alle spalle la Baviera e poi Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto.
Ma queste, tutto sommato, sono solo conferme di quanto accaduto nei primi sette mesi dell'anno, che hanno visto l'export dell'Italia aumentato del 14% contro il +13,8% della Germania e il +7,6% della Francia. Non a caso, nei primi sei mesi del 2001, ben undici regioni italiane (nelle esportazioni manifatturiere) hanno fatto meglio della Germania, salendo oltre il 13,8%.


Ma oltre alle conferme ci sono le sorprese. Lo studio ha individuato un indice di internazionalizzazione delle regioni italiane, in base al quale dal 2006 al 2010 a essere cresciute di più non sono le regioni del Nord, ma Sicilia, Lazio, Campania e Calabria. "E' vero che partivano da livelli più bassi - ha spiegato Gregorio De Felice, capo ufficio studi di Intesa - ma il passo avanti è significativo".

In altri termini, il nord si conferma per il maggior peso, ma è il sud a prendersi tutti i primi posti per maggior dinamismo. Il centro Italia è la macro-area che presenta la maggior crescita sullo scenario internazionale (+15,9%), la Sicilia dimostra la miglior prestazione nell'indicatore economico di "apertura internazionale" negli ultimi cinque anni e la Campania la migliore dinamica dell'indicatore di apertura commerciale, calcolato come rapporto tra interscambio commerciale e Pil (+13,8%), in un contesto economico non certo positivo".

 

 
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